Macchina o quasi-macchina, questo è il dilemma.

Non volevo scomodare William Shakespeare ma la questione è talmente annosa che il titolo doveva necessariamente essere d’effetto.

In effetti, nonostante la prima versione della Direttiva Macchine sia stata approvata il 14 giugno del 1989, anche a distanza si molti anni, restano vivi alcuni dubbi “amletici” rispetto ai quali mi sento di fare alcune considerazioni.

I dubbi mi sorgono quando (spesso) capita che fabbricanti (non sempre degli sprovveduti) forniscano macchine sostanzialmente complete con una Dichiarazione di incorporazione (allegato II b della Direttiva Macchine) semplicemente perché tali macchine sono, secondo la loro personale interpretazione, “incomplete”.

Solitamente accade quando le macchine in questione (perché di macchina si tratta e lo scopriremo dopo) sono fornite prive di protezioni perimetrali o perché sono destinate ad essere incorporate in insiemi di macchine.

Proprio per sanare questi dubbi, credo sia necessario fare un po’ di chiarezza sfatando alcuni “falsi miti”.

Partirei dalla definizione di quasi-macchina. Ricordo che questa definizione è comparsa la prima volta nel 2010 con la Direttiva 42/2006 CE. Infatti, il considerando 16 introduce per la prima volta il concetto di quasi macchina:

Sebbene i requisiti della presente direttiva non si applichino alle quasi-macchine nel loro insieme, è comunque opportuno garantire la libera circolazione delle quasi-macchine mediante una procedura specifica”.

L’articolo 2 lettera g) della stessa Direttiva definisce le quasi-macchine (traduzione maccheronica di “partly completed machinery”):

“g) “quasi-macchine”: insiemi che costituiscono quasi una macchina, ma che, da soli, non sono in grado di garantire un’applicazione ben determinata. Un sistema di azionamento è una quasi-macchina. Le quasi-macchine sono unicamente destinate ad essere incorporate o assemblate ad altre macchine o ad altre quasi-macchine o apparecchi per costituire una macchina disciplinata dalla presente direttiva;”

È chiaro che volendo limitarci alla sola sterile (e apparentemente conveniente) lettura della definizione potremmo cadere nell’errore interpretativo fatto dai sopracitati produttori.

Per fortuna la Commissione Europea nella Guida di interpretazione della Direttiva 42/2006 CE ci viene in aiuto con una serie di commenti.

Nello specifico con il commento §46 entra nel merito della definizione di quasi-macchina:

Ҥ46 Quasi-macchine

Le quasi-macchine di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera g) sono definite all’articolo 2, lettera g). Si fa osservare che le quasi-macchine non sono annoverate fra i prodotti designati con il termine “macchina” in senso lato.

Le quasi-macchine oggetto della direttiva macchine sono prodotti destinati a costituire una macchina disciplinata dalla direttiva dopo l’incorporazione.

L’espressione “insiemi che costituiscono quasi una macchina” significa che la quasi macchina è un prodotto simile alla macchina nel senso stretto di cui all’articolo 1, paragrafo 1 lettera a), vale a dire un insieme costituito da parti o componenti collegati di cui almeno uno mobile, ma che manca di taluni elementi necessari per assolvere alla sua applicazione ben determinata. Pertanto, la quasi-macchina deve essere sottoposta a un’ulteriore fase di costruzione per diventare la macchina finale che possa assolvere alla propria applicazione ben determinata.

Questa ulteriore fase di costruzione non comprende il montaggio di un sistema di azionamento su una macchina che ne è sprovvista al momento della fornitura, qualora il sistema di azionamento da installare sulla macchina sia coperto dalla valutazione di conformità del fabbricante (cfr. §35: commenti sul primo trattino dell’articolo 2, lettera a)) – né comprende il collegamento al sito di impiego o l’allacciamento a fonti di energia o di movimento (cfr. §36: commenti sul secondo trattino dell’articolo 2, lettera a)). Le quasi-macchine vanno altresì distinte dalle macchine pronte per l’installazione su mezzi di trasporto, in un edificio o in una costruzione (cfr. §37: commenti sul terzo trattino dell’articolo 2, lettera a).

Le macchine che sono in grado da sole di assolvere alla propria applicazione ben determinata ma che mancano soltanto dei mezzi di protezione o dei componenti di sicurezza necessari non vanno considerate quasi-macchine.

Poiché le quasi-macchine costituiscono “quasi una macchina”, è opportuno distinguerle dai componenti che non sono oggetto della direttiva macchine in quanto tali – cfr. §35: commenti sul primo trattino dell’articolo 2, lettera a). Di norma, i componenti possono essere incorporati in una vasta gamma di categorie di macchine con varie applicazioni.

… Omississ”

Dopo aver letto il commento (n.d.r.: l’ultima parte del commento non è stata riportata in quanto ininfluente nel merito) appare sicuramente evidente che una quasi-macchina si caratterizza per non essere in grado nelle condizioni di fornitura di assolvere alla sua (forse sarebbe stato meglio scrivere “propria”) applicazione ben determinata.

Per chiarire ulteriormente il significato di “applicazione ben determinata” richiamo il commento §35 della guida:

“Le macchine devono essere utilizzabili per un’applicazione ben determinata. Fra le applicazioni tipiche delle macchine, ad esempio, si annoverano la lavorazione, il trattamento o l’imballaggio di materiali, oppure lo spostamento di materiali, oggetti o persone.

La direttiva macchine non si applica di per sé a elementi separati di macchine quali, ad esempio, giunti, cuscinetti a sfera, pulegge, giunti di accoppiamento elastici, valvole solenoidi, cilindri idraulici, scatole di trasmissione flangiate e simili, che non hanno un’applicazione specifica e che sono destinati ad essere incorporati nella macchina. La macchina completa dotata di tali componenti deve soddisfare i requisiti essenziali pertinenti di sicurezza e tutela della salute. Il fabbricante della macchina deve pertanto scegliere i componenti con specifiche e caratteristiche adeguate.”

La lettura del commento fuga ogni ulteriore dubbio in merito al fatto che se un “oggetto” nello stato di fornitura è potenzialmente in grado di svolgere una funzione tipica di una macchina (ad esempio, pressare, piegare, ecc.), ancorché privo di protezioni o accessori, debba essere considerato una macchina.

Concludo questa mia breve trattazione con una considerazione personale: che vantaggio ha un fabbricante di una macchina a vedere la stessa come se fosse una quasi macchina semplicemente perché priva delle protezioni? Crede forse di ridurre le proprie responsabilità nel caso in cui l’uso di questa macchina porti ad eventi pericolosi?

Direi proprio di no. Ricordo, infatti, che tra i rischi che il fabbricante (a prescindere) deve sempre valutare (e non ci sono distinzioni tra macchine e quasi macchine) ci sono quelli relativi alle interfacce (quelle immaginate ma anche le più numerose e pericolose “immaginabili”). Il commento §390 delle guida (Istruzioni per l’assemblaggio delle quasi-macchine) precisa che:

Le istruzioni per l’assemblaggio trattano tutti gli aspetti legati alla sicurezza della quasi-macchina e dell’interfaccia fra la quasi-macchina e la macchina finale che deve essere considerata dal meccanico montatore in fase di incorporazione della quasi macchina nella macchina finale.”

Tutto questo per dire che questa pratica (fornire delle macchine come se fossero delle quasi macchine) oltre che sbagliata (di fatto costituisce un illecito amministrativo) non porta alcun beneficio al fabbricante (non ne limita le responsabilità)  ed arreca un danno all’utilizzatore finale che si vede costretto (suo malgrado) ad effettuare la marcatura CE (farlocca) per poter mettere a disposizione dei lavoratori la macchina. Spero che questo breve articolo abbia contribuito a fare un po’ di chiarezza nel dissipare “l’amletico dilemma”.

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